Sono i più colpiti dalla pandemia: non solo perché vittime delle fake news che li dipingevano come “untori”, soprattutto nella prima fase. Ma perché il crollo dell’occupazione dovuto al covid-19 ha penalizzato proprio loro: gli immigrati impiegati come collaboratori domestici, spesso in nero, e dunque privi di ogni tipo di ammortizzatore sociale. Con il risultato che tante colf e badanti si sono trovate senza lavoro da un giorno all’altro: spesso anche senza casa, se vivevano insieme agli anziani accuditi. E senza la possibilità di tornare nel proprio Paese, per il blocco delle frontiere.
Una frattura sociale che ha anche abbattuto il volume delle rimesse, ovvero i soldi inviati alle famiglie d’origine, e della quale si iniziano a intuire solo ora i contorni: “In Liguria avvieremo uno studio in collaborazione con Caritas per misurarne gli effetti”, spiega infatti Andrea Torre del Centro Studi Medì, che con Deborah Erminio ha curato i dati liguri per il Dossier Statistico Immigrazione 2020 realizzato dal Centro studi e ricerche Idos in partenariato con il Centro Studi Confronti, presentato ieri in tutta Italia. Una fotografia che racconta come, in una regione dall’età media alta come la Liguria e a fronte di una necessità in crescita nell’accudimento degli anziani, “i 29 mila lavoratori del comparto di assistenza domestica non saranno presto più sufficienti – sottolinea Deborah Erminio – da qui al 2055 crescerà del 23 per cento la necessità di manodopera nel settore, anche perché gli anziani ora hanno meno figli”.
“Il paradosso in questa regione – sottolinea Leah Fuertes di Federcolf – è che le donne migranti che lavorano nelle case per quattro euro l’ora guadagnano meno di chi percepisce il reddito di cittadinanza”. Eppure, a parlare della centralità di questo tipo di impieghi sono i numeri: in Liguria i lavoratori stranieri sono circa 66 mila. Di questi, 50 mila sono impiegati nei servizi, ovvero il 76 per cento: tra loro, dodicimila svolgono lavoro domestico. E infatti, quest’anno tra le 4.805 istanze di regolarizzazione presentate, 4.400 erano per questo tipo di impiego.
I numeri liguri, in linea con quelli nazionali, raccontano di un’invasione che non esiste, anzi: la riduzione dei flussi è forte. E l’effetto dei decreti Salvini ha contratto i permessi di soggiorno ex umanitari: “I nuovi permessi sono stati 4.734, circa duemila in meno rispetto a ognuno dei tre anni precedenti – spiega Deborah Erminio – il calo dei nuovi ingressi è dovuto soprattutto alla contrazione dei permessi per protezione internazionale, scesi a mille nel 2019”.
Sono diminuite, dunque, le persone inserite nel sistema di accoglienza ligure: erano 3.693 a fine 2019, in sensibile calo rispetto all’anno precedente (4.771) e in ulteriore diminuzione nel corso del 2020 (al 30 giugno, 3.395). Pur restando il primo motivo di ingresso, sono calati anche i permessi per ricongiungimento familiare: 2.805 in totale. I residenti stranieri in Liguria sono sostanzialmente stabili, 148 mila: l’1,6 per cento in più dell’anno scorso. L’età media è 35 anni, un freno al deficit demografico. Pesano, però, le cancellazioni anagrafiche: ovvero i trasferimenti all’estero, per lo più di giovani. In Liguria la perdita è stata di 3.800 persone l’anno scorso, italiani e stranieri: forza lavoro in meno. Quanto alle nazionalità, si registra un aumento del 17 per cento di popolazione dal Bangladesh, per lo più donne; stabili albanesi, romeni, ucraini, e in calo gli ecuadoriani, ma solo perché hanno acquisito la cittadinanza. In totale, i nuovi italiani in Liguria nel 2019 sono 4.700.
fonte: repubblica.it/